sabato 10 settembre 2011

MANAGER SANITARI: DOPO GLI ABUSI ADESSO TENTANO L’IMBROGLIO DELLE DIMISSIONI

Viene fatta circolare voce che i manager lombardiani della sanità che dovevano essere dichiarati decaduti per legge almeno 4 mesi orsono, avrebbero deciso, tutti e tre contemporanemente (ma vedi che coincidenza) di rassegnare le proprie dimissioni. Dimissioni che sono chiaramente irricevibili: i direttori generali vanno sottoposti al giudizio prescritto dalla legge non per mero piacere sanzionatorio (per quanto doveroso e necessario), ma per rispettare l’interesse pubblico alla trasparenza ed al rispetto della stessa legge. Le loro dimissioni non possono interrompere il percorso valutativo ed il relativo giudizio, che nel caso negativo deve comportare delle conseguenze a tutela dell’interesse pubblico.
Infatti, l’art. 19 comma 4 della Legge sanitaria è chiarissimo:
“Non sono riconfermati nella carica i direttori generali che non siano stati oggetto di valutazione positiva…”.
Il che, per analogia, comporta che per un direttore generale giudicato inadempiente dovrebbe ritenersi, a tutela dell’interesse generale, definitivamente conclusa la propria carriera nei ranghi dirigenziali della Pubblica Amministrazione: hai avuto la tua occasione, hai mancato l’obiettivo, adesso a casa!
Ragionamento più che logico. E necessario oggi più che mai, con una classe dirigente occupata da incapaci senza precedenti.
Nella realtà a quanto pare, l’omessa vigilanza da parte dell’assessore Russo, cui la legge prescriveva l’obbligo di controlli trimestrali e la facoltà di intervento commissariale nel caso si evidenziassero gli sforamenti poi certificati, ha consentito non solo il permanere dei direttori nell’incarico, ma addirittura non ha impedito che venissero conferiti da questi, a bufera già scoppiata, incarichi di grande rilievo.
Infatti, mentre Calaciura a Catania, a partire da giugno e quindi ben oltre i termini di decadenza, si è “limitato” a rinnovare una decina di contratti di collaborazione per qualche centinaio di migliaia di euro, appena qualche giorno fa, il 24 di agosto, mentre tutti i giornali parlavano del suo probabile licenziamento Salvatore Oliveri, direttore Generale ASP di Agrigento, ha sfornato una bella serie di incarichi, nominando persino posizioni di vertice dello staff dirigenziale. Tra questi la più discussa è la nomina di Antonino La Valle, nominato a capo nientemeno dell’Ufficio Provveditorato (l’ufficio di maggiore spesa). Questo signore risulta già condannato nel 2006 a risarcire 150.000 euro per una vicenda di prezzi gonfiati quando era a capo delo stesso ufficio presso l’ospedale San giovanni di Dio. Con un curriculum del genere e considerati i dante causa, chi si stupirebbe se continuasse nella bella carriera?
Ma come si fa ad applicare regole così ragionevoli ai propri fedelissimi, si saranno chiesti a Palazzo d’Orleans, addirittura ad un segretario politico (di paese) del partito del presidente?
Allora si tenta l’intentabile, si sfida l’insfidabile, si supera il ridicolo: “Facciamoli dimettere, così interrompiamo per sopravvenuta mancanza di causa il giudizio che la legge richiede venga espresso sui direttori generali, e magari tra qualche mese, muti muti, zitti zitti gli diamo un altro bell’incarico”.
Non si spiega senza una regia geniale la contemporanea decisione dei tre manager sanitari di “rimettere il mandato” nella mani dello stralciato. Del resto, è riuscito a confessare tranquillamente “rapporti politici” con tanto di promesse di assunzioni a boss di Cosa Nostra, vogliamo che non trovi qualche scusa per rimettere in pista i suoi capacissimi super manager? Magari col sostegno del PD e dei sindacati.
Anzi, proprio i sindacati, che ne stanno difendendo tanto inspiegabilmente l’operato, perchè non se li nominano a capo delle loro “aziende”, tipo RETI, STREC, ST&T, etc.? Magari riuscirebbero ad ottenere qualche altro bel contributo, basterebbe presentare curriculum e appertenenze. A meno che i posti disponibili non siano già occupati dai loro stessi parenti.
Ma la colpa non è loro, non solo almeno, e neanche di chi sta utilizzando metodi da igiene mentale per mantenersi ad un potere ormai utile solo a se stesso e soci, ma è di chi glielo consente, con danni ormai incalcolabili alla convivenza sociale.
(sudpress)

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